Le norme che disciplinano la professione
La professione di Educatore Professionale Sociale e Sanitario (d’ora in poi abbreviato EP) risulta pienamente legittimata e il suo riferimento normativo, concettuale ed operativo non può essere altro che quello di area sanitaria, con tutti punti di forza e vincoli a cui sottostare.
Dall’art. 1 del D.M. 520/98 istitutivo della figura professionale si possono individuare le due funzioni fondamentali dell’EP:
- l’attuazione di specifici progetti educativi e riabilitativi;
- la cura del positivo inserimento o reinserimento psico-sociale dei soggetti in difficoltà.
L’esercizio di tali attività deve essere realizzato nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe multidisciplinare. A tutela della legittimità dell’intervento riabilitativo, si rimarca che, l’intervento dell’EP alle dipendenze del Servizio Sanitario Nazionale deve essere necessariamente incluso in un piano di trattamento disposto da un referente clinico.
Il comma 2 dello stesso art. 1 orienta e dettaglia le attività proprie della professione, ovvero:
- quelle per le quali l’EP deve prendere l’iniziativa, essendo specificamente attinente alla sua competenza (programma, organizza, gestisce, opera, verifica);
- quelle da svolgere in collaborazione con l’equipe multidisciplinare (contribuisce a promuovere e organizzare; in modo coordinato e integrato).
La legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in Materia di Professioni Sanitarie” ha definito i campi propri di attività e di responsabilità di tutte le professioni sanitarie rientranti nelle tre aree infermieristica, tecnica o della riabilitazione. Quindi, anche per l’EP, il campo di attività e responsabilità è determinato da:
- il Decreto Ministeriale istitutivo del profilo professionale;
- l’Ordinamento Didattico del corso di laurea/diploma universitario;
- lo specifico Codice Deontologico.
I criteri guida dell’attività professionale dell’EP sono quindi fissati dalle norme sopracitate e l’EP è tenuto ad attivarsi responsabilmente per raggiungere gli obiettivi, a prescindere da vincoli di subordinazione rispetto ad altre professioni.
Novità dalla Legge 42/99: la responsabilità
Dalla Legge 42/99 emergono alcuni concetti pregnanti e significativi per l’esercizio della professione, individuati nelle parole: responsabilità, attività, autonomia e competenza.
Il concetto di responsabilità richiama il dovere di comportarsi in modo consono ai doveri connessi alla professione (indicati nelle norme sopraindicate) e all’interesse dell’assistito. Comportandosi in modo scorretto l’EP potrebbe essere chiamato in giudizio a rispondere di eventuali errori od omissioni, sotto i profili della responsabilità civile e penale.
L’attività va intesa non come semplice esecuzione di atti, bensì come proazione, assunzione di una condotta attiva, prendendo le iniziative professionalmente pertinenti di volta in volta. L’associazione dei due termini, attività e responsabilità, rafforza e sollecita l’impegno assistenziale che l’EP deve spontaneamente assumere di fronte ad una situazione di bisogno, al di là delle richieste esplicite dell’assistito.
L’autonomia professionale
Il principio dell’autonomia, già implicitamente affermato dalla Legge 42/99 è stato introdotto esplicitamente con l’articolo 2 della successiva Legge n. 251 del 2000 “Disciplina delle Professioni Sanitarie” che tratta di “titolarità e autonomia professionale”.
La caratteristica dell’autonomia non deve far perdere di vista l’obiettivo fondamentale dell’esercizio professionale che è quello della tutela della persona sotto il profilo sanitario e sociale e che tale obiettivo, per l’EP è realizzabile solo con l’intervento coordinato ed integrato di svariate figure professionali.
L’autonomia professionale
Il D.M. 520/98 non parla mai esplicitamente di autonomia, ma alla luce della Legge 251/2000, le funzioni enunciate nel medesimo decreto sono da intendersi, anche per l’EP, svolte in autonomia, intesa quale competenza ad operare secondo le regole proprie della professione.
L’EP agisce con competenza (ciò che “compete”, ciò che è “di pertinenza”) nell’esercizio professionale, tenendo presente che il campo dell’esercizio professionale è in continuo divenire ed in continua ridefinizione in rapporto ai modelli di presa di presa in carico ri-abilitativo e di governo clinico socio sanitario. L’EP deve quindi tener presente le competenze e le attribuzioni delle altre professioni sanitarie al fine di evitare di sostituirsi ad esse.
L’abuso di professione
Quindi anche l’EP può incorrere nell’abusivo esercizio di professione, quando compia atti che sono dalla legge riconosciuti di pertinenza di una professione, il cui esercizio è sottoposto a particolare disciplina. L’educatore professionale può commettere il reato quando svolga attività professionali che non siano comprese fra quelle indicate dal DM 520/98.
La legge 3/2018, meglio nota come Legge Lorenzin, oltre che a disporre il riordino delle professioni sanitarie e la nascita di nuovi albi, tra i quali anche l’Albo della Professione Sanitaria dell’Educatore Professionale ha inasprito le pene previste dal codice penale per chi esercita abusivamente una professione sanitaria che richiede l’abilitazione dello Stato.
L’esercizio abusivo è considerato in giurisprudenza un danno all’interesse di Stato, un interesse costituzionalmente tutelato a che i cittadini ricevano prestazioni sanitarie da professionisti esclusivamente autorizzati per legge alla loro erogazione.
L’aspetto della competenza pare molto chiaro per l’EP, mentre risulta molto meno compreso e agito da altre figure professionali che spesso sconfinano dai propri ambiti, arrogandosi funzioni ed attività esclusive dell’EP.
L’impegno concreto dell’Educatore Professionale
Un impegno impredicibile per ogni EP socio sanitario sarà quello di presidiare le specificità, i contenuti e i valori dell’unica professione contemporaneamente sanitaria e sociale, quella in grado di dare pronta risposte organizzate complessi bisogni della salute bio-psico-sociale dei cittadini.